Per gli abitanti di Alcara li Fusi particolare
importanza riveste questa festività.
Di giorno la Chiesa celebra la festa di S.
Giovanni Battista, dal collo mozzato, alla sera ogni quartiere si prepara alla
cerimonia propiziatoria affinché il raccolto sia abbondante e la terra ancora
più fertile come da quattromila anni la tradizione greca ha tramandato.
E’ questa forse la festa più antica d’Italia, in
onore delle divinità della terra, dell’amore e della fecondità: Demetra, Adone e
Afrodite.
Per risalire ai riti del Muzzuni, le ricerche più
approfondite ci portano negli Stati Minori della Grecia, verso il VII a.C., dopo
la caduta di Troia anche se molto prima, circa 2000 anni a.C., ci furono ondate
di flussi migratori, di popoli agricoli alla ricerca di nuove terre da
coltivare, e questi erano popoli con un culto fondato sulla religione della
natura. La religione antica venerava la Madre Terra Demetra. Quella stessa dea
che si celebra nei riti del Muzzuni, e il rito, la simbologia della festa
diventa un trofeo fallico, con l’offerta che la Madre Terra Demetra riceve da
questa comunità. Infatti già dal 13 giugno, quando si festeggia S. Antonio, le
giovinette pongono dei chicchi d’orzo dentro ciotole inumidite e le conservano
sotto le “quadrare” di rame al riparo dalla luce, per ottenere i “LAVURI” da
donare alla dea e i quartieri interi si animano per i preparativi.
Il momento magico è il solstizio d’estate
(proprio in questo giorno si racconta che Enea salpò da Troia e dopo un lungo
viaggio arrivò sulle coste siciliane!), in cui si chiude un ciclo e se ne apre
uno nuovo. Momento culmine che gli antichi, praticavano nella celebrazione del
Muzzuni, collegato esclusivamente al succedersi delle stagioni, che secondo la
mitologia di questo popolo, i semi germogliati nella brocca di terracotta,
rappresentavano complessivamente i campi seminati in autunno e in inverno, che
vengono alla luce
germogliando
in primavera.
Spogliati infatti gli altarini del Battista, con
le coltre lavorate a mano, bianchissime e ornate di angioletti e fiori, si
rivestono con delle PEZZARE tessute al telaio di legno dai tipici disegni
geometrici, con vasi di grano germogliati al buio perché prendano il colore
dell’oro. Come per il Battista, la brocca è col collo mozzo, rivestito con un
fazzoletto di seta e dalla quale spuntano steli di grano come in un rito magico
propiziatorio.
Altro importante elemento è l’acqua, quale
primario fonte per la vita stessa e quindi ricchissimo di dei da onorare. Se
notiamo che il paese di Alcara cresce su una sponda di un fiume, chiamato
Rosmarino per la presenza abbondante di questa pianta, capiamo perché nel ciuffo
del Muzzuni è presente un rametto di questa pianta, che col suo profumo aiutava
le ninfe ad esorcizzare i misteri negativi della natura. Ancora oggi si
preparano artigianalmente dei fiori di confetto, a forma di margherite dai
colori variopinti, i cosiddetti confetti si Sanciuvanni che servivano per
l’antico uso del comparatico, i compari e cummari di Sanciuvanni, dove si
sciolgono inimicizie, si scambiano doni e si coronano con vino comparanze
sentite e rispettate per tutta la vita degli
interessati.
Iriteddu
facitini amari
Chi nni
ficimu compari
‘nzuccu
avemu nni spartemu
e
giammai nni ciarriamu.
Quannu
veni la morti nni sciarriamu
All’imbrunire le fanciulle pongono la brocca su
un altarino e stendono le PIZZARE
per festeggiare con danze e canti
d’amore, trasformandosi in sacerdotesse, davanti al Muzzuni, della dea
dell’Amore, Afrodite, mentre gli uomini intonano canti di risposta, serenate,
“ruggeri” e “chjanoti” tramandati di generazione in generazione,
messaggi più o meno espliciti alla donna che si vuole amare. L’antica
realtà contadina, durante il Muzzuni aveva questa possibilità di corteggiamento
perché la giovane che si voleva come sposa abitava in quel quartiere.
Ma non dobbiamo dimenticare che con l’avvento
della cristianità vengono privilegiati altri simboli, s’imprigionano in un’altra
più spirituale sostanza i significati della festa,non potendo cancellare un
precedente radicatissimo culto pagano, lo si converte e lo si plasma secondo i
crismi della Chiesa.
Così la brocca mozzata, colma di fecondi
germogli, diventa il simbolo della decapitazione di S. Giovanni Battista, la cui
festa ricorre proprio il 24 giugno, quell’altare attorno al quale si
celebrava la fecondità della terra e della carne, diventa luogo mistico di
esaltazione del precursore di Cristo, e l’incontro orgiastico della comunità si
stempera nei riti del comparaggio e del corteggiamento.
Le ragazze vestite di bianco rappresentano le
vergini, la purezza dell’animo, a coppia portano dei cesti pieni di petali, di
fiori di ogni sorta, seminandole lungo il cammino della processione. Finita la
festa di S. Giovanni la gente rientra in casa per poi ricominciare la festa,
poco dopo, quando il profano prende il sopravvento sul sacro,al suono dei cori
degli uomini, che mangiano , bevono insieme, ritrovando il valore di una
socialità vissuta profondamente e col rispetto che caratterizza gli animi di
tutti.
Dopo la celebrazione della festa del Muzzuni, “u
zuccu di Sanciuvanni”, un grosso ceppo
dalla forma chiaramente fallica, ricoperto di
grano falciato portato dai contadini durante i preparativi della festa, viene
spogliato dalle spighe di grano, offerte alla gente che partecipa al rito, e i
contadini danno fuoco al legno, cantando, danzando, attorno al fuoco, fino a
tarda notte.
Antonio Tortorici